Pazienza, perseveranza e tenacia. I miei primi due mesi a Sydney

img_6526Ricordo ancora quanto mi sentissi triste e quanta ansia e paura avessi prima di partire. Avevo desiderato questa cosa così tanto, ma a due passi dalla partenza e dopo i saluti con i miei parenti e i miei amici la tristezza ha preso il sopravvento. Vedere allontanarsi insieme i miei cari e ritornare in una stanza anonima d’albergo da sola, non è di certo una bella sensazione. Metteteci in più che la mia migliore amica poco prima di salutarci mi aveva regalato un libretto fotografico rappresentante i nostri 15 anni di amicizia e il pianto è servito. Quante lacrime ho versato quella sera. Per fortuna la presenza di altri italiani bloccati in aeroporto come me a New Delhi è servita a distrarmi.

Insomma questa era la fase dell’ansia e delle paura e non di certo dell’eccitazione prima della partenza. Non stavo semplicemente partendo per un viaggio da sola, cosa che mi piace molto, ma stavo andando dall’altra parte del mondo per un’esperienza di vita, per cercare lavoro e casa, il tutto da sola, senza nessuno che conoscessi.

Settimane e giorni prima della partenza la gente mi chiedeva quanto fossi eccitata, ed io molto onestamente rispondevo che in questo momento sentivo molto più l’ansia che l’eccitazione. Ovvio, se pensavo ai posti che avrei visto ero felice ed impaziente, ma prima del viaggio attraverso il Paese io avrei dovuto trovare lavoro, una casa da condividere, insomma avevo dei traguardi da raggiungere.

Dopo la prima settimana in ostello in cui ho cercato di prendere confidenza con la città e di sbrigare le questioni burocratiche sono stata ospitata da una famiglia di amici di una mia amica italiana, l’unico contatto che avevo che speravo mi servisse per avere maggiori possibilità di successo rispetto ad altri.

Mai nulla di più sbagliato perché l’amico di questa famiglia, un italiano, pezzo grosso che lavora per il governo, al di là di tante parole, non è servito praticamente a nulla se non ad illudermi di trovarmi un posto presso i Royal Botanical Garden.

Al di là del lavoro, aver conosciuto questa famiglia è stata per me una fortuna perché è stata l’occasione per stare in un contesto familiare e anche per ricevere aiuti e consigli. Ma soprattutto è stata una bella occasione per vivere nei sobborghi tranquilli della città circondata da opussum, da pappagallini e da una florida vegetazione.

Nonostante la famiglia fosse molto carina e gentile ed abbia fatto e visto tante cose quel periodo è stato stressante, uno perché non avevo l’occasione di conoscere giovani come me e due perché la ricerca del lavoro è stata più dura del previsto e mi sentivo frustrata.

Non immaginavo sarebbe stato così difficile e ci fossero dinamiche così assurde (ma di questo parlerò in un altro post “L’altra faccia del Working Holiday Visa”). La frustrazione era accompagnata dalle domande continue dei parenti in Italia che continuavano a chiedermi se avessi trovato o meno lavoro e questo mi ha messo parecchio in ansia da prestazione.

E’ come se sentissi tutto il peso delle aspettative che gli altri avevano su di me ed io non volevo deluderli ma soprattutto non volevo deludere me stessa. Ma soprattutto sapevo che non ero partita per questo, avevo bisogno di conoscere gente, di sentirmi indipendente e libera, di vivere da sola, di andare a fare la spesa e dover decidere cosa mangiare, ecc.

Ora a due mesi di distanza dal mio arrivo in città sto bene, ho due lavori, uno come cameriera in un ristorante libanese che mi piace molto perché mi da modo di parlare e scherzare con molte persone e l’altro come nanny per una bambina di 7 anni. Vivo a Ultimo, a due passi da Glebe dove lavoro e che resta il mio quartiere preferito della città e vicino a negozi dove fare la spesa e da Central Station. I miei coinquilini provenienti da ogni parte del mondo sono simpatici e per quanto ognuno abbia i propri impegni ci si riesce a vedere spesso ed è bello tornare la sera dal lavoro e continuare la serata bevendo e scherzando. Ora ho raggiunto il mio equilibrio e sto bene, ma soprattutto sono fiera di me stessa, e sono contenta di aver avuto pazienza e tenacia e di non aver mollato. Posso dire di saper girare la città a piedi senza mappa, e di aver preso qualsiasi tipo di mezzo in molte zone e quartieri della città e la cosa mi riempe di grande soddisfazione e penso che se ho fatto questo posso fare di tutto!

Ora sorrido ripensando alla ragazza sbucata in Elizabeth Street (una delle mille uscite di Central Station) che si chiedeva: ed ora da che parte vado? Cosa faccio? E che arrivando in ostello con il proprio zainone si chiede da dove iniziare…

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